I Tarocchi… un alfabeto al di là del Tempo (Morena Poltronieri)

I Tarocchi… un alfabeto al di là del Tempo


Frammenti di uno stesso simbolo, i Tarocchi tracciano la storia, descrivono il mito e insegnano a vedere al di là del guardare. Non svelano, ma rivelano. Pongono un velo, non per oscurare, ma per proteggere.

In questo modo comincia la prima lettera dell’alfabeto misterioso di Octavia Monaco, che mescola sostanza al Tempo, rendendolo complice di ogni trasformazione.

Non è semplice cogliere l’istante, che come un gettito di carte attraversa le azioni, mai casuali. Le Stelle. Un arcano in cui Carl Gustav Jung distinse il Sé che risplende e che si unisce all’eterno.

Eterno deriva da ‘età’, e ancora entra in gioco il Tempo, ma l’Eterno è anche sinonimo del Demiurgo, che nella lamina dei Tarocchi di Octavia diviene l'anima della Natura, quel soffio di vita in grado di creare gli universi, grazie al potere del sogno. Se è possibile sognare, allora tutto diventa reale e il basso si scambia con l’alto il ruolo. Il dualismo è un ricordo che lascia spazio all’Uno. Uni-verso.

Sintesi che anima Melusina, il cuore della Dea mai scomparsa, che da sempre vivifica l’Acqua, base di vita, richiamandone i flussi con la sua coda serpentina. Una sorta di Ouroboros alchemico all’interno del quale l’Opera viene trasformata, e diviene altro. Altro da sé. Verità scomposta e ricomposta nelle due brocche, una d'oro e una d'argento, che si compensano, restituendo alla natura ciò che le fu tolto.

 

Stella da ‘strale’, in altre parole, folgore. E di illuminazione si tratta, una nuova visione. Vedere equivale a sapere, e le due anfore prendono nuova vita nella carta successiva, la Temperanza.

Due volti, un unico corpo… come Melusina e Cristo, entrambi legati al sacrificio. Lei, in un corpo ibrido, attendeva l’Amore. Lui, pure. Aspettava e aspetta tuttora l’essere umano nuovo, che possa liberare. Entrambi attendono. Il Tempo protegge.

Il cuore sacro è condiviso e pulsa nel candore di entrambi, mentre tre stiletti vi si affondano. Il sacrificio diviene ‘sacrum facere’ e rende  grazia ad ogni azione.

La vita oltrepassa le tenebre e la rosa bianca del femminile è già sbocciata. Potrà salvare il mondo solo quando anche il bocciolo ancora chiuso del maschile potrà albeggiare a nuova vita. Ḕ solo questione di Tempo.

La Temperanza riunisce i ritmi e l’acqua che scorre da una brocca all’altra risolve la forza di gravità. Sospensione da cui nasce il volo. Un occhio alato segna il percorso. Una Stella trasmutata.

Il cigno, che gli antichi pensavano cantasse prima della sua morte, è un simbolo cristico di compassione, e parla una lingua che solo gli iniziati possono capire.

Art Gothique, veniva chiamata, ovvero il linguaggio degli uccelli. E anche le due candide immagini che generano il Rebis hanno le ali. Dunque possono volare, e volare ha la stessa radice di volere…

Se voglio, posso. Ma non sempre. Esiste un Tempo al di là di ogni comprensione e che collega ogni forma alla propria ombra, in un giro eterno. Spirale. Ruota. Ruota di Fortuna.

Nel decimo arcano dei Tarocchi, l’astro lucente si annerisce. Da uno a trino. Il divino che si espande, mentre Ecate risorge. In origine era la Dea della fertilità, poi la paura del femminile la trasformò in terrifica immagine che ogni cosa fagocita.

Dai lineamenti della Trimurti - la forma triplice dell'Essere - Kālī, la Dea nera della notte, prende vita… chi è in grado di dare la vita è in grado di dare la morte. Così si diceva della Dea, della strega e infine della donna. Ma la Terra continua ad essere madre e una vera madre sa staccarsi dai propri figli. Così si individua il sé. Mentre la fine diventa l’inizio per mezzo delle spirali che volteggiano creando ricami, senza più desiderare forme. Finalmente libere dal Tempo.

Intanto, la Ruota del Fato assorbe e rilascia continuamente, come respirasse la vita stessa. Vita come connessione. Ragnatela che tesse la propria storia e quella degli umani. Nessuno è escluso.

Le braccia si moltiplicano e Aracne racconta il suo stesso filo, mentre lo attorciglia intorno alla spada.

Sa che dovrà tagliare.

Intanto, Kālī, con la lingua, assaggia tutti i sapori della vita, mai separata dalla morte. Collane di teschi danzano insieme a fiori, come diverse note di uno stesso spartito, per tornare all’origine. Utero. Fuso. Canocchia.

Il mistero della tessitura, dove ordito e trama solcano mondi in orizzontale e in verticale. Il centro è il punto di massima energia. L’ora del mito. L’oro che pervade il dipinto. Metamorfosi isiaca.

La civetta bianca annuncia la morte, ma come in un gioco sottile, ‘civetta’ diventa la donna sfacciata. Il nome della donna ardita. Troppo coraggio fa paura. Questo uccello, chiamato pure strix notua rivela gli antichi culti della Dea emanata dalla natura. Verde, come l’altro colore che pervade il dipinto. Vere associazioni. Libere suggestioni evocano Tara, la Dea della Terra, precedente a Buddha, da cui alcuni sostengono sia nata la parola ‘Tarocchi’.

Una scansione di nero, oro, verde. Una corona che diviene cerchio, e quindi cielo.

Questa forma rammenta l’immenso circolo radiante di Shiva, ma al posto delle fiammelle vi sono mani aperte, pronte a dare. Pronte a ricevere. Ḕ con le mani che l’Opera diviene completa, che l’idea raggiunge la forma. Ma questa viene nuovamente catturata come un riflesso, all’interno di uno specchio.

Specchio… speculum… ‘guardare il cielo’. Un nuovo ciclo che riparte.


Nel tuo petto sono le stelle del tuo destino, e così in alto come in basso si realizza la meraviglia di un’unica opera.

Morena Poltronieri